Il neo manager e la consapevolezza del cambio di ruolo

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Il neo manager e la consapevolezza del cambio di ruolo

Sono numerose le persone che sono state nominate manager – quindi gestori di un gruppo di persone – ma che non hanno ancora acquisito la piena consapevolezza che il loro ruolo e le loro responsabilità si sono trasformate.

Diventare manager significa passare, dall’avere la responsabilità di raggiungere i propri obiettivi individuali come professionista specialista, alla responsabilità manageriale di ricevere dall’azienda un gruppo di persone, trasformarlo in squadra, dare loro ruoli, regole, processi e obiettivi comuni, e con questa squadra ottenere i risultati di team desiderati dall’azienda stessa. Inoltre, il manager dovrà nel medio e lungo periodo rendere le persone più impiegabili, più autonome nel loro mestiere e dovrà dare loro le giuste motivazioni per affrontare le sfide di oggi e di domani, probabilmente sotto la guida di un altro manager.

Si tratta di una trasformazione profonda, un cambio di punto di vista, una rivoluzione quasi “copernicana” che molti manager faticano a compiere, lamentandosi del fatto che sono ancora troppo impegnati in attività specialistiche, non trovando il tempo per occuparsi del cosiddetto People Management.

Tanti ritengono che questo dipenda dalla ancora eccessiva operatività che sono costretti a svolgere per via delle “coperte” sempre troppo “corte”.

Io credo che questo sia vero nei momenti di emergenza, in specifiche situazioni, in determinati momenti critici. Quando questo, invece, si caratterizza come la quotidianità e avviene con continuità, le cause sono probabilmente altre. Una di queste, a mio parere, è proprio la non ancora piena consapevolezza del cambio di ruolo e di ciò che questo comporta.

D’altra parte, in molte aziende, non esiste una formazione che faciliti il passaggio di ruolo e responsabilità e che aiuti a creare questa consapevolezza. Sembra quasi che il Top management e l’HR di molte aziende dia per scontato che nel momento in cui una persona viene nominata manager sia illuminata da una luce, forse divina, che la rende consapevole, competente e pronta per svolgere il nuovo ruolo.

Ma la realtà è che molte aziende ritengono che la formazione sia tempo “sottratto” alla produttività con il risultato che molti neo manager non sono accompagnati dall’azienda in questa trasformazione e “affogano” nell’operatività e nell’incapacità di svolgere il proprio nuovo ruolo in un modo diverso da quello del super specialista che deve risolvere tutti i problemi, manco fossero il mitico “Mister Wolf”!

Vero è che, se il manager lavora in un’azienda che non investe in formazione manageriale, può sempre provvedere direttamente al proprio sviluppo, anche come forma di investimento in ambito professionale e, perché no, personale.

Quanti sono i manager che hanno comunque frequentato un corso di formazione o aggiornamento manageriale negli ultimi tre anni?

Quanti sono i manager che hanno letto almeno un libro di aggiornamento manageriale nell’ultimo anno?

Purtroppo, molti di questi manager ben presto capiranno “sulla propria pelle” che non saranno valutati dai loro superiori per tutto ciò che fanno ogni giorno, per tutte le ore di lavoro, per quanto si impegnano o si sacrificano, per tutti i problemi che risolvono, ma saranno valutati sui risultati di team, che avranno raggiunto insieme alle loro persone, e per aver creato una squadra e averla resa ingaggiata e autonoma nel tempo.

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