Il potere assoluto del capo e la latitanza dell’HR

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Il potere assoluto del capo e la latitanza dell’HR

Incontro molte persone terrorizzate dal rapporto con il proprio capo.

Alcune di queste mi raccontano che hanno paura di far notare al loro capo incongruenze, problemi o difficoltà, perché percepiscono che il proprio destino professionale dipende dal giudizio del loro superiore.

“Se il mio capo pensa che non sono capace…”, “Se il mio capo pensa che non so fare il mio lavoro…”, “Se il mio capo si offende e po ce l’ha con me…”, “Se va in giro a dire che non valgo niente…”, “Se il mio capo mi brucia e mi toglie ogni possibilità di crescita qui dentro…”, e tanti altri timori di questo genere.

Il pensiero che molte persone coltivano, relativo al fatto che in azienda puoi essere fortunato trovandoti a lavorare con un buon manager o puoi essere iellato incappando in un cattivo capo, penso sia quantomeno drammatico.

Sembra come se il tuo benessere professionale e personale non dipenda dal tuo merito, dalle tue capacità, dal tuo impegno, dalla passione e qualità che metti nel tuo lavoro, ma dipenda dalla sorte!

Se il fato ti sorride puoi capitare sotto un manager che ti sa guidare, gestire, motivare e che si sa prendere cura di te, rendendoti soddisfatto e felice sia professionalmente che personalmente. Se il destino ti è avverso puoi capitare sotto un capo che non sa o non vuole prendersi cura di te e che ti “brucia” con il suo giudizio negativo, rendendoti insoddisfatto e infelice sia professionalmente che personalmente.

Penso che questa idea sia non solo drammatica, ma alla base e la sorgente di una cultura dell’anti-meritocratica in azienda.

Per quella che è la mia esperienza, ritengo che alcuni capi, i più “machiavellici”, usino ad arte questa forma di potere, mentre altri invece non se ne rendano conto. E francamente non so quali dei due casi sia il peggiore.

Come si può spezzare questa cultura inopportuna e poco efficace?

Come si può elevare la cultura manageriale in azienda?

E soprattutto, dov’è HR?

Io credo che una delle responsabilità di HR sia quella di salvaguardare la cultura aziendale e il valore della meritocrazia, iniziando dall’elevare la cultura manageriale. Smettiamola di pensare che un manager per definizione sia sempre capace di svolgere nel modo migliore l’attività di People Management, perché questa è una competenza che si impara giorno dopo giorno con l’esperienza, ma anche con l’aiuto di una formazione che dia consapevolezza, di strumenti efficaci e di un allenamento continuo.

E HR non può e non deve sottovalutare questo aspetto.

Inoltre, HR dovrebbe essere visto dalle persone come una “terza parte” cui confrontarsi senza paura, garante del fatto che una persona rappresenta un talento dell’azienda.

Questo significa che un manager ha la responsabilità di far interagire il suo collaboratore nel miglior modo con il resto del team, di guidarlo verso l’ottenimento dei risultati desiderati, che lo faccia crescere e diventare più autonomo possibile e che lo prepari a essere più motivato e abile nell’affrontare le sfide future, magari anche sotto altri manager. Non significa in alcun modo che la persona è, o pensi di essere, un oggetto posseduto dal capo che può decidere cosa farne come vuole. E HR deve fornire gli “attrezzi del mestiere” e i processi necessari per far agire i manager nel modo migliore, individuare e fermare abusi di potere o situazioni di “possesso terroristico”, attraverso analisi di clima, “feedback 360” e tanti altri strumenti oggi in circolazione.

HR deve poi rappresentare un momento di ascolto e confronto neutrale, avulso da pregiudizi e non fazioso, cui rivolgersi in modo spontaneo e naturale, cui chiedere aiuto e consiglio quando ci sono problemi nella relazione tra il manager e il collaboratore

Non solo, un HR efficace dovrebbe cogliere queste situazioni e intervenire prima ancora che le persone siano costrette ad alzare le mani.

Ma, pensando a molte realtà aziendali, la domanda sostanziale è “Dov’è questo HR?”

 

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