La sofferenza e il sacrificio dell’Italia

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La sofferenza e il sacrificio dell’Italia

L’altra sera la nostra nazionale italiana di calcio ha superato le semifinali ai rigori e si è qualificata per la finale degli Europei 2020.

Non è stata una qualificazione affatto facile.

Ciò che mi ha colpito, tuttavia, durante tutte le partite dell’Italia e soprattutto nelle ultime, quelle a eliminazione diretta, è stato l’accento posto sulla sofferenza della squadra da parte di molti dei commentatori televisivi, dei giornalisti, degli opinionisti, degli stessi giocatori e finanche della gente comune al bar o in metropolitana.

Se ci avete fatto caso la parola “sofferenza” legata all’impresa della nazionale italiana è stata pronunciata un’infinità di volte: “Stiamo soffrendo”, “Dobbiamo imparare a soffrire”, “E’ stata una sofferenza”, “La squadra ha saputo soffrire”, …

Ho riflettuto sul fatto che il nostro linguaggio e quindi la nostra cultura siano da tempo molto legati al concetto di sofferenza. Probabilmente si tratta di un retaggio che viene da lontano, per certi versi potrebbe essere legato alla cultura cattolica, forse viene anche dagli eventi della prima metà del secolo scorso. Ho inoltre l’impressione che questo concetto sia ancora più forte oggi, dopo aver trascorso un anno e mezzo di pandemia.

Ma cosa porta le persone a richiamare la sofferenza in un momento bello, entusiasmante, intenso e divertente come una partita di calcio o una qualificazione alla finale?

D’altra parte, se analizziamo l’etimologia della parola “sofferenza” troviamo un richiamo alla sopportazione e alla pazienza. Come se si dovesse sopportare qualche cosa con pazienza per meritarsi, forse, una ricompensa. Sembra quasi che si cerchi la motivazione attraverso la sofferenza.

Se così fosse, mi verrebbe da pensare che ci sia una sorta di masochismo culturale dietro tutto ciò, che riguarda la nostra società civile, il nostro mondo sportivo e che si estende anche al tessuto imprenditoriale, il cui linguaggio tanto si ispira allo sport.

Infatti, nella mia esperienza nelle aziende, da dipendente e ora da formatore e consulente, la parola “sofferenza” l’ho sentita pronunciare molte volte, così come la parola “sacrificio”: “bisogna avere spirito di sacrificio”, “mi aspetto di vedere persone che si sacrificano”, “quella persona non si sacrifica più di tanto”, “se sappiamo sacrificarci otteniamo il risultato sperato” …

Se analizziamo anche in questo caso l’etimologia della parola, “sacrificio” significa rendere sacro; come se si donasse un contributo a qualcosa di più alto, di più grande, che ti faccia sentire utile alla collettività.

“Sofferenza” e “sacrificio” sono dunque concetti che fanno parte della cultura aziendale italiana e che inducono in qualche modo motivazione e spirito di squadra.

Ma perché usare queste leve?

Come possono un imprenditore o un manager, pensare di motivare le persone, nel senso di muoverle verso un risultato, richiedendo loro sofferenza e sacrificio?

Io, da un imprenditore o da un manager, mi aspetto che attivino altre leve motivazionali, quali impegno, dedizione, interesse, attaccamento, coinvolgimento, determinazione, entusiasmo, trasporto, ingaggio, senso di appartenenza, motivazione, divertimento, gioia…

Certo, è più facile richiamare lo spirito di sacrificio anziché stimolare il coinvolgimento, l’entusiasmo e il divertimento nel lavoro. Questi ultimi richiedono infatti capacità manageriali e di people management non sempre presenti negli imprenditori e nei manager.

Peccato che ho l’impressione che così facendo non si motivino molte persone e il lavoro venga visto da parecchie di esse come qualcosa che si deve fare con fatica e non che si vuole fare con passione.

Perché in azienda, come nella società civile, non c’è consapevolezza e non ci si assume la responsabilità degli effetti e delle conseguenze del linguaggio che si utilizza?

Forse si dovrebbe uscire da questa trappola linguistica nonché culturale, e parlare di sofferenza e sacrificio solo quando questi sono realmente necessari.

La soluzione a mio parere è rappresentata da una crescita della cultura manageriale nelle aziende, quindi da una maggiore consapevolezza sull’importanza dell’attenzione alla leadership e al people management.

E la sofferenza e il sacrificio? Lasciamola ai campioni dello sport, che nel frattempo sanno anche divertirsi e arrivare in finale!

 

 

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